GIUSTIZIA PER MIMMO. FAMILIARI ED AMICI INCATENATI AL TRIBUNALE DI CATANIA. IL VIDEO

Pietro Crisafulli insieme ad altri familiari ed amici, ha deciso di incatenarsi, a tempo indeterminato, davanti al tribunale di Catania, per avere giustizia. Qui il video

Facciamo un passo indietro e ritorniamo al 6 marzo scorso, quando Domenico Crisafulli – conosciuto da tutti come Mimmo – perde la vita in un terribile incidente stradale nel quartiere Barriera, esattamente tra via Sacco e via De Logu. La Procura, a seguito della tragedia, decise di aprire un fascicolo. L’incidente, che ha poi causato la morte del 25enne, avrebbe coinvolto non solo Mimmo – che in quel momento era a bordo del suo scooter – ma anche una donna alla guida della sua Smart.

Dopo quasi un anno di indagini, la stessa Procura che ai tempi chiese l’apertura di un fascicolo, ha deciso di chiudere il caso con una archiviazione che, secondo quanto racconta il padre, Pietro Crisafulli, attribuisce la responsabilità al figlio. L’archiviazione sarebbe arrivata sulla base della perizia effettuata dal CTU che, sempre secondo quanto riferisce Pietro, sarebbe un ingegnere edile.

Da una settimana circa, però, una struttura presente nel luogo dell’incidente, avrebbe fornito al legale della famiglia – l’avvocato Giuseppe Incardona -, prove “inconfutabili”, ottenute dai filmati delle telecamere di sorveglianza che “non lasciano alcun dubbio sul mancato arresto dell’auto al segnale di Stop che ha travolto Mimmo”, spiega Pietro Crisafulli. “La donna alla guida non si è fermata, ha soltanto rallentato”. 

Rallentare ma non fermarsi, dice questo il codice della strada? Il comma 5 dell’articolo 145, così cita: I conducenti sono tenuti a FERMARSI in corrispondenza della striscia di arresto, prima di immettersi nella intersezione, quando sia così stabilito dall’autorità competente ai sensi dell’art. 37 e la prescrizione sia resa nota con apposito segnale”. 

“Con questa archiviazione mio figlio è stato ucciso per la seconda volta”, queste sono le parole del papà Pietro che non si rassegna alla decisione presa dalla magistratura definendola “ingiusta”

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