«Chiediamo solo giustizia, nient’altro. I nostri ragazzi sono morti e non potremo mai più riabbracciarli, ma ci aspettiamo che il processo che riprende domani a Verona si concluda con un atto di giustizia». A lanciare l’appello sono i familiari degli studenti e professori ungheresi morti nel terribile incidente avvenuto il 20 gennaio 2017 vicino al casello di Verona Est sull’autostrada A4. Quella notte, un autobus che trasportava una scolaresca di ritorno da una gita andò a sbattere contro un pilone e prese fuoco. Diciassette tra ragazzi e accompagnatori morirono avvolti dalle fiamme. «A loro si è aggiunto, nei mesi scorsi, il professore Vigh Gyorgy, che quella notte era a bordo del pullman e tentò di portare in salvo gli altri passeggeri, ma non riuscì a salvare i suoi due figli», dice a nome di tutti i familiari Endre Szendrei, zio di una delle vittime. Per la strage sono indagate sei persone, tra cui l’autista dell’autobus Varga Janos. «Abbiamo grosse aspettative nei confronti di questo processo, siamo fiduciosi che alla fine i responsabili dell’incidente vengano condannati. All’udienza saranno presenti tanti familiari», aggiunge Szendrei.
A sostenerli ci sarà l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada (Aifvs), che fin dal primo giorno si è impegnata perché venisse fuori la verità e venissero individuati tutti responsabili. «Finalmente, dopo tre anni, siamo arrivati a una fase chiave della vicenda», dice il presidente dell’Aifvs, Alberto Pallotti, «domani, 24 gennaio, gli imputati saranno chiamati a scegliere con quale rito essere processati. Speriamo che non ci siano ulteriori rinvii o ritardi, perché il processo deve ancora partire. La Procura e i giudici di Verona finora hanno lavorato molto bene, ma i tempi si sono allungati troppo a causa della complessità incredibile di questa vicenda e per il gran numero di parti civili e persone coinvolte. Il processo si annuncia lunghissimo. La nostra associazione in questi tre anni è stata sempre vicina ai familiari, persone che soffrono e che non potranno mai più riprendere la vita di prima. Ci auguriamo che questo procedimento, che non potrà restituire loro i figli, possa dare almeno giustizia».
«Speriamo», continua Pallotti, «che per una volta in Italia si riesca a fare un processo serio e giusto. Troppo volte i procedimenti finiscono con patteggiamenti, troppe volte si sente la mancanza di una certezza della pena. Questo rende le nostre tragedie ancora più dolorose. Per questo, come associazione, vogliamo fare un appello al Capo dello Stato e al Ministro della Giustizia. Rivolgiamo anche un appello all’Unione Europea affinché venga creata una commissione o un gruppo di lavoro che indaghi come mai le stragi sulle strade sono in aumento in Italia, quali sono le concause e studi delle soluzioni».
«Qualora fosse necessario, siamo disposti a fare delle manifestazioni davanti al Tribunale», dicono i familiari delle vittime ungheresi, «ne abbiamo già fatte due. Il giorno di Natale abbiamo esposto diciotto croci davanti alla casa dell’autista ungherese Varga Janos che, secondo le nostre convinzioni, quella notte era alla guida del pullman al momento dell’incidente ed è uno dei responsabili della tragedia. Le croci rappresentavano le vittime della strage, le abbiamo portate davanti a casa sua poiché dal momento dell’incidente non ha mai avuto il coraggio di guardare negli occhi i parenti delle vittime e i sopravvissuti, non ha mai chiesto scusa alle vittime e non ha mai cercato la moglie dell’altro autista defunto, nonostante fossero amici da più di vent’anni».
«Il 14 gennaio, invece», continuano i familiari, «in occasione dell’anniversario della partenza del bus, abbiamo posto 18 croci anche davanti alla sede della società di pullman. Volevamo ricordare a tutti i dipendenti dell’azienda che in quel giorno di tre anni fa hanno lasciato partire quel mezzo modificato in modo illegale e con alla guida un autista molto malato. Il cercare di eludere tutte le responsabilità è disumano e senza pietà». «Se ci fosse bisogno, aiuteremo i familiari delle vittime ungheresi a portare le diciotto croci davanti al palazzo di giustizia di Verona», conclude Pallotti, «ma speriamo che venga fatta giustizia».
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